Nur. Appunti afghani

Nel “giardino luminoso” dell’Afghanistan ho seguito d’istinto i suoi sentieri, trovando focolai di speranza nei luoghi più insperati, nel fondo più nero della disperazione.

Un viaggio solitario nella terra degli Afghani. Dividendo il cibo, il sonno, la fatica, la fame,
il freddo, i sussurri, il riso, la paura. Spostandosi con bus, taxi, cavalli, camion, a dorso di yak.
 Dal confine iraniano a quello cinese sulle nevi del Wakhan, armata soltanto di un taccuino e una Leica. Balkh, Panjshir, Samanghan, Herat, Kabul, Jalalabad, Badakshan,
 Pamir Khord, Khost wa Firing. Uno slalom continuo per evitare i banditi targati Talib,
 seguendo la complicata geografia della sicurezza che tutti gli afghani conoscono.
 Parlando con gli afghani, ho scoperto che la guerra è una macchina miliardaria 
che si autoalimenta e che pur di funzionare arriva al punto di pagare indirettamente tangenti
allo stesso nemico. Rifiutando di viaggiare con un’unita’ militare – ’embedded’ -
protetti da un elmetto in kevlar, ho ritrovato un mondo che dalla Maillart a Bouvier
 gli europei amarono e che ora, dopo dieci anni di presenza militare, abbiamo rinunciato a conoscere. 
La culla del sufismo e di un Islam tollerante che, lì come in Bosnia, l’Occidente si ostina a ignorare.
 La terra dei poeti sufi odiati dai Taliban e minacciata dal nostro schema dello scontro bipolare.
 Un Paese nudo e minerale, dove un albero ha una maestà senza eguali e l’individuo
non ha spazio per l’arroganza. Deserti dove il richiamo “Dio è grande” suona più puro che altrove.
 Una terra abbacinante, dai cieli sconfinati, e così inondata di sole che bisogna rifugiarsi nell’ombra
– interni, albe e crepuscoli – per ridare un senso alla luce, al fuoco, ai bagliori dello sguardo.
 Un Paese disperato, dove la donna è schiacciata dal tribalismo e l’oppio è la sola medicina dei poveri,
 ma dove una straniera può essere accolta in una moschea e l’incantamento dello straniero è vissuto
come una benedizione. Una terra dove si rischia la vita solo andando a scuola e dove nelle periferie disperate
i bambini si svegliano alle quattro del mattino per andare a prendere l’acqua con gli asini.
 Ma anche un Paese d’ironia, capace di ridere nei momenti più neri, rispettoso degli anziani,
perfettamente conscio che il solo futuro possibile sta nella scuola, e nei bambini che domani saranno uomini.
 Nel giardino luminoso dell’Afghanistan ho seguito d’istinto i suoi sentieri,
 trovando focolai di speranza nei luoghi più insperati, nel fondo più nero della disperazione.   dal 2009

 


The Aftermath Project Grant Winner 2010

TEDGlobal 2011

The Guardian

Video MANTOVA FESTIVALETTERATURA

NUR TIME LightBox

Video NUR.APPUNTI AFGHANI. Teatro Documentario

ANI PIX Palace 2016

Galleria dell’esposizione NUR al Palazzo Ducale di Venezia

Galleria e video dell’esposizione NUR nella Ex Pescheria e Urban Art a Trieste

The Hazara.  Granta Magazine

“Un’altro Afghanistan”, video La Repubblica